Sono trascorsi 25 anni (16 novembre 1995) da quando la nostra città è stata privata di una grande personalità come il prof. NINO CASIGLIO che ha segnato profondamente una stagione ricca ed articolata della vita politica e culturale di San Severo. Educatore, scrittore e pubblicista, CASIGLIO, come è noto, ha dato alle stampe romanzi dove ha “cantato” la bellezza della Capitanata attraverso le storie individuali e collettive del suo popolo portandole alla ribalta della Letteratura Nazionale. Non è possibile descrivere in poche righe la complessità della sua narrativa. C’è chi è titolato a farlo nelle sedi opportune. Speriamo che le Istituzioni politiche e culturali cittadine lo facciano, poiché proporre alle nuove generazioni la figura e il modello culturale di un intellettuale come il prof. CASIGLIO, potrebbe innescare un circolo virtuoso nel tessuto di una città che da tempo ha smarrito il valore della convivenza civile, della propria memoria storica, del proprio decoro. Lo diciamo senza polemica verso qualcuno ma una comunità che non è attenta alla propria memoria, che non conosce le proprie radici culturali, produce dei “mostri” che portano dritto verso una comunità senza volto, senza un’anima, che vive in una terra “di mezzo”. Detto questo, vorrei limitarmi, in questa occasione, a citare un simpatico e istruttivo aneddoto autobiografico che il prof. CASIGLIO ha reso noto nella prefazione del libro: “U caruselle: detti e proverbi dialettali sanseveresi”, ricerca del compianto Maestro CIRO PISTILLO, pubblicato nel lontano 1982. Il prof. CASIGLIO racconta che nel suo primo giorno di scuola elementare, il suo compagno di banco aprì un cartoccio e gli offrì delle mandorle dicendogli: “Vu i’ mennëlë”? Il professore non gli rispose, poiché, a suo dire, non conosceva affatto il dialetto sanseverese e si rammaricava, tempo dopo, sia per non aver capito la domanda del compagno e sia di ignorare un mezzo di comunicazione popolare così importante. Di qui l’esortazione di CASIGLIO ai giovani di padroneggiare sempre un duplice registro linguistico: l’italiano e il proprio dialetto. Sosteneva che il dialetto non si configura come codice dei ceti popolari ma viceversa come una tastiera di arricchimento espressivo per tutti. Conoscerlo è dunque importante. Mi permetto di aggiungere che purtroppo abbiamo assistito in questi ultimi anni al volgare spettacolo di chi – strumentalmente – voleva “tutelare” il proprio dialetto solo per segnare virtualmente dei confini geografici e per istituire una scuola regionale dialettale “padana”. La vera via per una tutela del dialetto ce l’ha indicata proprio il prof. CASIGLIO ricordando l’episodio delle mandorle del suo generoso compagno di banco avvenuto in una scuola della Repubblica Italiana.