IN MEMORIA DI UNA MADRE CORAGGIO; LE ASSOCIAZIONI DI SAN SEVERO SI UNISCONO NELLA LOTTA CONTRO LA MAFIA
L’impegno e la coscienza civile dovrebbero sempre rappresentare i fili conduttori di quella che continua ad risultare, ancora ai giorni nostri, una lotta senza tempo; la lotta contro la mafia.
E possiamo così immaginare una genitrice amorevole ed attenta agli ideali che il proprio figlio si dichiara pronto a combattere.
Parliamo di Felicia BARTOLOTTA, la madre di Peppino IMPASTATO.
È lei la protagonista indiscussa di sabato mattina, 6 novembre, nel corso di un appuntamento che a San Severo ha visto coinvolte diverse Associazioni, quali: Arcidonna; Anpi; la Consulta delle Associazioni e Made in San Severo, a cui si sono aggiunti i preziosi contributi artistici di Paola MARINO e Nazario VASCIARELLI.
Mari ALBANESE invece, autrice del libro “IO FELICIA. Conversazioni con la madre di Peppino Impastato”, ha presentato la propria opera scritta insieme ad Angelo SICILIA.
Si tratta di una raccolta di conversazioni molto toccanti che, nell’estate del 2002 Felicia BARTOLOTTA, la madre di Peppino IMPASTATO, raccontò ai due giovani attivisti, Angelo SICILIA e Mari ALBANESE, i quali furono tra gli animatori del primo Forum Sociale Antimafia di Cinisi.
Da fonte Repubblica si evincono dichiarazioni coinvolgenti dalle quali emerge tutto il coraggio di una donna forte e determinata nel combattere, con tutta se stessa, la mafia.
È stata la prima donna a spezzare il vincolo mafioso familiare attraverso piccole azioni quotidiane, fino ad arrivare a manifestazioni in piazza ed a forum antimafia. Vietò persino al marito di portare i propri ‘amici’ in casa, intimandogli che, prima o poi, avrebbe rivelato il posto in cui si nascondevano quando vi erano le retate.
Una donna che però non ha mai cercato la vendetta, in quanto riteneva che la “lotta alla mafia la si fa con la cultura”.
Questo lo ripeté fino alla fine dei suoi giorni ed, in un’intervista a Mari ALBANESE, affermò: “Io capivo a iddu e iddu capiva a mia”, riferendosi all’amatissimo figlio.
Felicia combatté per ventiquattro anni affinché venisse fuori la verità sulla morte di Peppino contro ogni depistaggio e riuscì a vedere conclusa l’inchiesta, solo con la condanna all’ergastolo di Tano Badalamenti. Morì ad 88 anni.
Felicia non avrebbe mai potuto accettare che il figlio che aveva lottato per i più deboli sacrificando la sua stessa vita, passasse alla storia come un terrorista.
Nel 1984 i medici constatarono che, ai lati dell’encefalo, aveva due ematomi, e riuscirono a salvarla per mezzo di un intervento molto delicato. Quando si risvegliò confessò che, quando si trovava da sola, guardava un ritratto di Peppino e si percuoteva le tempie.
Tutto questo per far comprendere l’amore incommensurabile di una madre che può arrivare a soffrire pene dell’inferno per un figlio, ma che, con estremo ed encomiabile coraggio, può adoperarsi con tutta se stessa per aiutarlo.