Messaggio del Vescovo Checchinato per la Santa Pasqua
Messaggio di S.E. Mons. Giovanni Checchinato, vescovo della diocesi di San Severo, per la Santa Pasqua 2022, le cui riflessioni sono partite da questo pensiero profondo di don Primo Mazzolari, una delle figure più significative del cattolicesimo italiano nella prima metà del Novecento.
«Andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro ch’egli vi precede». Dove? Dappertutto: in Galilea e in Samaria: a Gerusalemme e a Roma: nel Cenacolo e sulla strada di Emmaus…ovunque l’uomo pianterà le sue tende, farà la sua giornata di fatica e d’avventura, spezzerà il suo pane, costruirà le sue città, piangendo o cantando, sorridendo o imprecando. «Egli vi precede».
Questa è la consegna della Pasqua. E se, alzandoci dalla tavola eucaristica, avremo l’animo disposto a tenergli dietro ove egli ci precede, lo vedremo, come egli disse”. (Primo Mazzolari)
Messaggio Pasqua 2022
«Egli vi precede» (Mc 16,7)
Care sorelle, cari fratelli, auguri carissimi a tutte e tutti!
Celebriamo una Pasqua caratterizzata dagli ultimi – speriamo – colpi di coda della pandemia da Covid-19 che ci ha tanto provato e con la preoccupazione di un conflitto assurdo, come, del resto, sono tutti i conflitti, generato qualche settimana fa nella vicina Ucraina. Forse ci troviamo anche noi nella situazione dei due discepoli di Emmaus che, mentre se ne vanno tristi e disillusi dalla città santa, rimuginano sui fatti avvenuti qualche ora prima, buttandosi addosso, l’un l’altro, il proprio malumore.
L’Evangelista annotando la scelta dei due di lasciare, quasi ingannati, Gerusalemme, pare offrirci non solo una semplice annotazione. Il disincanto aveva raggiunto il loro cuore, tagliente e rischioso come una lama. Verosimilmente lungo il percorso la loro memoria avrà riproposto le parole del salmo con cui diverse volte avevano lodato la gloria di Dio: “Grande è il Signore e degno di ogni lode nella città del nostro Dio. La tua santa montagna, altura stupenda, è la gioia di tutta la terra. Il monte Sion, vera dimora divina, è la capitale del grande re” (Salmo 48,2-3). La delusione riguarda anche il Grande Re, il Signore, a cui hanno voltato le spalle ed il cuore, immaginando di trovare più sicurezza nelle logiche umane, nei loro desiderata così diversi quanto diverse furono le loro attese, nelle certezze granitiche offerte dall’esperienza e dal buon senso. L’ultimo guizzo della loro apertura, prima di chiudersi definitivamente al futuro e alla speranza, è accogliere un viandante che, come loro, cammina nel tardo pomeriggio di una domenica che si rivelerà “senza tramonto” per la loro fede e la loro vita.
È Gesù che fa il primo passo, avvicinandosi, facendosi prossimo anche alle loro molte fatiche e alla loro umanità fragile. Certamente non lo avrebbero chiamato, viste le tante resistenze che ribollivano dentro e che avrebbero consigliato di non prendere l’iniziativa. Gesù sceglie, invece, di “perdere tempo” per loro, si fa loro compagno di viaggio, condividendone la storia. Il dramma.
Il dinamismo della Incarnazione, per cui Dio ha scelto di porre “la sua tenda in mezzo a noi” (Gv 1, 14) si ripete, e si ripeterà fino alla fine dei tempi. Questo indiscreto sconosciuto che viene a importunarli con la sua presenza si rivelerà una risorsa importante, e non solo per aver permesso, con il suo ascolto empatico, la verbalizzazione di tanti contenuti emotivi che avevano bisogno di prendere forma fuori dal cuore. Credere nella risurrezione significa anche, per questo, permettere all’altro che incontro di rivelarmi, con la sua presenza, un orizzonte nuovo.
Gesù li interroga, permettendo loro di far uscire tutto il “loro vangelo”: un vangelo che conosciamo bene perché è anche nostro, alle volte fatto di logiche mondane come il successo, il potere, le vittorie strategiche, le pianificazioni vantaggiose; sembra di sentirli i due che borbottando si dicono: “Ci siamo fatti abbindolare da un uomo che credevamo profeta, su cui avevamo messo la nostra attenzione, che ci avrebbe messo sul carro dei vincitori e che invece ha mostrato tutta la sua inefficacia”. Sono, però, anche onesti nel riportare l’annuncio della risurrezione che hanno ricevuto dalle donne: ma non ci credono… sarebbe bello! Ma si sa, noi adulti, non crediamo più alle favole! Hanno dimenticato i segni che il Maestro aveva fatto davanti ai loro occhi e la considerazione che la gente aveva di quel Rabbi di Nazareth, come quando il cieco, guarito dalla sua mano, aveva affermato: “Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla” (Gv 9,32-33). Avere lo sguardo sintonizzato sul paradosso del Vangelo è sempre più difficile del rassegnarsi alle logiche di questo mondo, e certamente i due – di questo sguardo – non sono proprio maestri.
Gesù prende la parola e li stimola a guardare oltre, a valutare con onestà la loro fede, a chiedersi se si fidano più di Dio o di loro stessi. Li pungola a partire dalla Scrittura… chissà quali passi avrà citato… Mi piace pensare che ci sia stato il passo che riferisce la storia di Giosuè e Caleb narrati dal libro di Giosuè al cap. 14: arrivati a Kades-Barnea, alle soglie della Terra Promessa, il popolo si rifiuta di entrarvi, impaurito dal rapporto delle dieci spie che erano andate in avanscoperta e lo avevano scoraggiato esaltando i pericoli dell’impresa. Sebbene Giosuè e Caleb non avessero sostenuto quella versione, il popolo non credette, né a loro, né a Dio.
Una generazione intera perì perché non ebbe fiducia nel Signore, influenzata dal pessimismo di dieci uomini che avevano smesso di fidarsi di Dio, pur dichiarando la loro appartenenza al popolo di Israele.
Pur sapendo che Dio non li avrebbe mai mandati senza averli preceduti con la Sua gloria, hanno detto fra loro: noi speravamo… ma siamo adulti e non crediamo più alle favole. La strategia militare è più certa di promesse di cui non sappiamo l’esito… Avevano perduto la bellezza del credere “semplice”, fatto di poche certezze e di mille scoperte, che aveva caratterizzato la storia del popolo peregrinante nel deserto, affidato totalmente al Signore: “Tutte le volte che la nube si alzava sopra la tenda, subito gli Israeliti si mettevano in cammino, e nel luogo dove la nube si posava, là gli Israeliti si accampavano. Sull’ordine del Signore gli Israeliti si mettevano in cammino e sull’ordine del Signore si accampavano (…) All’ordine del Signore si accampavano e all’ordine del Signore levavano le tende, e osservavano le prescrizioni del Signore, secondo l’ordine dato dal Signore per mezzo di Mosè” (Numeri 9, 17-18. 23). Il Signore li precedeva oltre lo steccato delle loro convinzioni, oltre la barriera del buon senso, oltre la siepe delle mille logiche umane.
Gesù li provoca ad uscire dall’apatia. Quando ci assale il “demone meridiano” siamo anche noi vittime di questo “male oscuro” ben conosciuto in ambito spirituale come “accidia” o “tristezza”. Come ricorda Giovanni Climaco: “Nella solitudine, privi di consolazione, si è tentati dal demone dell’acedia che è non credere all’amore, mentre il cristiano dice con l’apostolo Giovanni: «noi crediamo all’amore»!”.
Gesù ci stimola ad uno sguardo più lungo, quello misurato non sulle corte distanze delle nostre esperienze, ma su una parola autorevole, la Sua! Anche quando sembra impossibile, anche quando è difficile e dura da accogliere. Chi si fida sa a chi sta dando fiducia (cf. 2Tm 1, 12). Magari non sa perché deve fidarsi in una circostanza o in un’altra. Ma sa che può farlo, come Abramo: “Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa (…) e nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra” (Ebrei 11,8-9. 13).
Gesù cammina con loro, misurando il suo passo su quello dei discepoli e continuando a misurare il suo sul nostro, stanco, lento, veloce, insofferente o nervoso… Senza quella fretta di vedere i risultati di un incontro, l’esito di un seme gettato. E da personaggio indiscreto quale sembrava essere all’inizio dell’episodio, viene riconosciuto come fratello da invitare alla condivisione del pane. Ed è proprio lì che i due sanno guardare oltre: il segno della risurrezione è oltre le loro aspettative, ma reale e accessibile nella condivisione di un pane spezzato. Condivisione che ci parla di relazioni da aggiornare costantemente, di uno spazio e un tempo da valorizzare come luoghi della incarnazione di Dio nella nostra storia, di un “oltre” da ricercare sempre, mettendo al vaglio la nostra vita e la nostra fede. Per questo nonostante l’ora tarda e il buio pesto si inizia a correre, più in fretta che si può, per raccontare, contagiando gli altri, con la gioia di quell’incontro.
“Andate a dire ai suoi discepoli e a Pietro ch’egli vi precede». Dove? Dappertutto: in Galilea e in Samaria: a Gerusalemme e a Roma: nel Cenacolo e sulla strada di Emmaus … ovunque l’uomo pianterà le sue tende, farà la sua giornata di fatica e d’avventura, spezzerà il suo pane, costruirà le sue città, piangendo o cantando, sorridendo o imprecando. «Egli vi precede». Questa è la consegna della Pasqua. E se, alzandoci dalla tavola eucaristica, avremo l’animo disposto a tenergli dietro ove egli ci precede, lo vedremo, come egli disse” (Primo Mazzolari)
Buona Pasqua!
+ Don Gianni, Vescovo
San Severo 17 Aprile 2022