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TRADIZIONI – SAN SEVERO E ‘A RASCE DE CHESE – LE PROVVISTE DI CASA
In tempi in cui ci si strappa i capelli per andare al bar, al ristorante o in vacanza, non fa male ricordare le vecchie usanze delle generazioni che ci hanno preceduto e che facevano del lavoro, del risparmio e dell’autoproduzione un punto centrale della vita familiare e sociale.
E così proprio nel periodo estivo, col far della vendemmia si iniziava a mettere a punto il piano per le conserve alimentari (anche dette ‘a rasce de chese) segno di benessere ed ottimismo.
Insieme alle bottiglie di vino nostrano si preparavano altre bottiglie, quelle della salsa fatta in casa. Un’usanza contadina molto viva in città ancora fino a 15-20 anni fa, che vedeva l’intera famiglia raccogliersi intorno agli anziani, di solito in locali a pianoterra o box, già pregustando il condimento dei futuri piatti, soprattutto domenicali e festivi.
Così dopo aver raccolto o comperato i chili di pomodori necessari, prevedendo insieme alle strette esigenze familiari anche qualche bottiglia regalo per parenti ed amici, si passava all’opera. La prima cosa era liberare i pomodori dal “peducine” – peduncolo, che se andava bene per i pomodori da appendere a fil di ferro o di spago per l’inverno (su una corona o un penzolo detti “nzerte”), certo non erano opportuni per i pomodori da salsa.
Questi infatti lavati e sciacquati venivano cotti in un pentolone e con la “sckummarola” – schiumaiola, un’apposita paletta forata, adagiati a riposare e intiepidirsi in una cassa di legno rettangolare alta 15 cm chiamata “fazzatore”(già in uso per lavorare la farina per la pasta e il pane fatti in casa).
I pomodori lessati venivano allora passati in uno spremitore manuale detto appunto spremipomodoro, che divideva la polpa dalla buccia e dai semi, per farla scivolare in una bagnarola. Da questa, con un mestolo, la passata veniva riversata nelle bottiglie, già pulite e munite di imbuto.
Riempite, le bottiglie venivano tappate con i “stagnarille”, tappi di stagno a corona fissati da apposita macchinetta ( gli stessi tappi, usati, diventeranno poi oggetto di gioco dei ragazzi al posto di monetine e figurine).
Una volta riempite e tappate le bottiglie dovevano essere sterilizzate in una pentola piena d’acqua, con una bollitura di circa mezz’ora. A questo punto erano pronte per raffreddare, essere poste sugli scaffali e conservate per i mesi a venire.
Un procedimento che richiedeva una vera e propria “catena di montaggio” in cui ognuno, dai ragazzi agli adulti, era impegnato in un proprio ruolo: diretto dagli anziani ed esperti che sapevano come gestire anche i giochi e i capricci dei più piccoli, insieme ai borbottii dei più grandi.
Ma insieme al vino e alla passata di pomodoro diversi sono gli alimenti trattati e conservati per la rimessa domestica, come le melanzane sottolio, le marmellate, il mosto cotto, le corone di aglio, le corone di pomodori, i pomodori secchi sottolio, le olive sotto sale, gli insaccati, ed altre specialità diverse da casa a casa e da paese a paese.
Tradizioni sempre più dimenticate, patrimoni popolari di conoscenza e “home made” si direbbe oggi che senz’altro andrebbero recuperate, per riconquistare genuinità e risparmio, e forse anche un pizzico di umanità in più.
Nazario Tartaglione